Angelo Savelli

                                                                                                                 

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...dal lume al silente

Sabrina Mileto Francesco Murmura

Perfetta icona dell'esperienza artistica di Angelo Savelli è il testo poetico, dedica ed introduzione alla personale all'Everson Museum di Syracuse, N.Y. nel 1972, "Silenzio e Lume" di Louis Kahn:

... "Dove lo ciò che misurare si puote, l'incommensurabile

incontra - movesi dal lume al silente di Savelli il lavoro.

In ciò, del poeta - della poesia l'essenza giace. "...

Roma, Parigi, Venezia e New York le tappe fondamentali di un lungo viaggio umano e creativo, secondo un percorso simile a quello di molti degli artisti italiani a cavallo degli anni '40, un percorso geografico e artistico che culminerà per Angelo Savelli in un fiero cosmopolitismo, inteso come moto dell'anima che celebra nelle tele bianche la frontiera più colta dell'arte astratta.

"Nativo di Pizzo" diceva di sé Angelo Savelli e a Pizzo molte opere sono tuttora presenti, sparse in collezioni private di parenti, amici e cultori, il fine che ci proponiamo è quello di riunirle in questa pubblicazione, in una sorta di mostra permanente, in occasione del decennale della sua morte.

Le opere rintracciate nelle collezioni private nella sua città natia sono soprattutto relative al periodo romano, lievissime le tracce degli echi parigini per lasciare il posto a buon numero di tele che documentano l'esperienza informale, italiana e newyorkese, e un discreto numero dedicate al bianco assoluto.

Il viaggio di Angelo Savelli parte da Pizzo, da un ambiente provinciale ma al tempo stesso illuminato da una certa vivacità artistica; sotto l'egida della scuola napoletana vissero in quegli anni, fra la fine del 1800 e i primi del 1900, alcuni fra i più conosciuti artisti e decoratori calabresi.

Lo zio Alfonso Barone, Carmelo Zimatore (1850-1933) Antonio Grillo (1878-1963) rappresentano per Pizzo e per la Calabria l'espressione dell'arte di maniera, caratterizzata dal marcato uso del disegno, dalla prospettiva tradizionale, dai soggetti religiosi, dal suggestivo pathos lirico.

Alfonso Barone,  Paesaggio, inizi del novecento

.

Questo ambiente ben comprese il talento del giovane Savelli e lo indirizzò e lo sostenne nella via dell'arte, il rapporto che ne nacque fu duraturo e non s'interruppe né con il viaggio a Roma né, più tardi, quando oramai Angelo Savelli era un'artista affermato.

Figura 1

Nel disegno (figura 1) si nota la forte influenza di questo ristretto gruppo di artisti pizzitani e della loro scuola, l'opera dal soggetto religioso, seppure dall'iconografia incerta, lascia intravedere studi di prospettiva, l'esercizio del disegno ma al tempo stesso vi si scorge un uso della linea assolutamente innovativo; essa non ha nulla di classico, asciutta e mai ridondante, anche nelle raffigurazione delle pieghe dei vestiti segue il movimento e la postura del corpo con una tendenza alla semplificazione ascetica.

Restano tracce cartacee di questa amicizia artistica, lettere ed inviti alle sue mostre che il giovane Savelli inviava agli artisti anziani del suo paese, tra le righe di quelle pagine sempre più forte è la voce di un giovane artista desideroso del nuovo e che guardava al presente con occhi già del futuro.

A Roma, negli anni '30, Angelo Savelli vive intensamente il clima culturale e artistico della città pur restando sempre molto schivo quasi in disparte, solo dieci anni più tardi aderirà apertamente e attivamente all'Art Club (Associazione Artistica Internazionale Indipendente).

Vicino alla Scuola Romana, a stretto contatto con Guttuso, Pirandello, Capogrossi, Tamburi, Guzzi e Montanarini, resterà attratto dalle tele dai toni cupi, dense di liricità distintive dell'arte di Scipione; contemporaneamente nell'opera di Savelli la linea appare sgraziata, la pennellata assume toni drammatici come in "Mia Madre" (1932), nell'acquaforte del '35 e nei due ritratti maschili (fine anni '30).

Gli anni a venire sono caratterizzati da una pittura dal marcato accento espressionista, dirà: "amo i colori vivi, sonori e carnosi, cupi e profondi", anni in cui Savelli registra le prime esposizioni (Premio Bergamo ed. 1941, ed. 1942, Quadriennale di Roma 1943 ), la prima personale alla Galleria Roma di Roma (1941), l'anno successivo a Milano alla galleria La Spiga e ancora a Genova alla galleria Cairola.

Testimonianze di questo periodo sono opere caratterizzate da note coloristi - che forti, a tratti audaci, espressionistiche macchie improvvise, la linea blu definisce in modo vigoroso i contorni, evidenziando in modo plastico i volumi dei paesaggi, in palese rimando alla lezione più innovativa dei grandi del novecento, primo fa tutti Cezanne.

Soggetti comuni come il mare o i paesaggi marini, di cui a Pizzo restano "Mareggiata"(1944) e vari "Paesaggi", sono tratti di costa a lui e a noi familiari, perfettamente riconoscibili a Pizzo e nel Golfo di Sant'Eufemia "davanti al quale" ricorderà "ebbi le prime sensazioni di gioia del colore, quando ancora la mia testa non passava la balconata di ferro della terrazza di casa, l'adagiavo tra un ferro e l'altro e non mi stancavo di guardare".

Una certa comunanza di vedute con il cubismo o quanto meno con il mezzo indagatore nella destrutturazione della figura umana scelto dagli artisti parigini la rintracciamo nelle opere "Nudo" e in "Poeta del fiume", entrambe del 1944; solo successivamente i suoi lavori lasciano spazio ad una costruzione più misurata e cosciente che rivela l'emozione più profonda e non solo la sua espressione.

Seppur lontane dalle rarefatte atmosfere bianche, le tele di questi anni rivelano già la tendenza di Savelli a fare della sola materia pittorica il veicolo della propria emozione.

In via Margutta, al civico n°49 Savelli al n°48 Guttuso e al n°51 Franchina, Montanarini e altri, si maturano le idee, che determineranno gran parte delle scelte artistiche della seconda metà del secolo e accompagneranno Savelli nel suo viaggio a Parigi (1948), che segnerà una svolta decisiva per la sua espressione artistica. Il viaggio a Parigi, se poteva apparire come d'obbligo per un giovane d'avanguardia, è necessario a Savelli per uscire da un clima italiano ancora troppo provinciale nella rappresentazione pittorica e ancor di più nel dibattito critico. Questa esigenza di superare i confini nazionali e comunque di rompere con la tradizione pittorica italiana per ricercare nuove forme di espressione del sentimento più legate all'emozione che all'immagine si avverte già nella prima produzione non figurativa.

Dopo l'esperienza parigina le opere sono trasformate, lo stesso Angelo Savelli è trasformato al punto tale che ritornato a Roma i vecchi amici non lo riconoscono più, commenterà: "inizia la linea zero"; il figurativo si dissolve per lasciare il posto all'astratto, la linea perde ogni eredità espressionistica per assumere una marcata capacità di esprimere i moti dinamici della vita interiore dell'artista, sono espressione di questa rinnovata e introspettiva sensibilità i tre disegni alla china del 1948.

Nelle ricerche degli anni '50 il colore si ridimensiona progressivamente sino alla bicromia, restano a Pizzo dei carboncini (1951), in cui l'attenzione di Savelli si polarizza sulla fluidità delle trame lineari bianche e nere.

"Fondo marino" "Attualità vivente", "Evolviamoci", le tele dal grande formato senza titolo, testimoniano invece, la ricerca artistica; il segno diviene linguaggio dell'anima, spesso conflittuale, il non figurativo affiora con un carattere personalissimo ed innovativo dai forti toni psicologici.

Il 1954 è ancora una volta anno di svolta, il trasferimento a New York, Savelli dirà: "quando sono arrivato a New York ero già espressionista, avevo avuto il periodo francese. Ero arrivato all'estremo di quell'esperienza: alle linee, alla scomposizione di un corpo fisico portata all'eccesso, all'essenza". Il viaggio a New York inizia come una permanenza di sei mesi e nasceva

dall'esigenza di vivere in un mondo dai contrasti esasperati, dall'esigenza di conoscere e confrontarsi con il mondo artistico americano, ben presto resterà folgorato dalla sua vitalità.

In terra americana continuerà ad approfondire la precedente esperienza segnica ("11" s.d.), il suo nuovo orizzonte è oramai tutto compreso all'interno della esperienza informale, già incontrata a Roma con la vicinanza a Burri, Cagli e Capogrossi, ma che attraverso la maturata esperienza e il terreno culturale americano si precisa in dettagli originali, ovvero in una nuova esperienza di spazio arricchita di densità materica.

Tema ricorrente in questi anni è la tempesta, di cui la tela "Tempesta n°2" (s.d.)  ne è egregia espressione, essa è al tempo stesso un ricordo dell'ambiente marinaro a lui caro dall'infanzia ma soprattutto, il soggetto permette di intuire come un nuovo concetto di spazio va infiltrandosi nella sua opera.

In "Tempesta n°2", e in "senza titolo" (s.d.),  il segno infuria sulla tela, colpisce visivamente, il colore denso si raggruma in alcuni punti invadendo lo spettatore e debordando dallo spazio-confine della tela.

Punto più alto della ricerca artistica finora condotta è rappresentato dalla personale alla Galleria di Leo Castelli di NewYork nel 1958; la galleria rappresentava il luogo di tendenza per eccellenza, un traguardo artistico che sancirà l'avvio della carriera internazionale di Angelo Savelli.

Stampando delle serigrafie avvenne che per errore e per caso una di esse si presenterà del tutto bianca, il bianco irrompe così nella sua vita, o meglio riaffiora. A tal proposito Savelli amava ricordare che il suo primo incontro con il bianco era avvenuto molti anni prima in una chiesa fiorentina, i cui interni di "grigio sbiancato" inondarono i suoi occhi troppo avvezzi ai brulicanti contrasti barocchi delle chiese romane.

Il bianco affiora lentamente nella sua opera e nella sua mente, dapprima legato all'oggetto dopo sempre più scisso da esso per divenire esso stesso forma, forma assoluta in cui la luce e l'ombra sono meri incidenti "naturali ed inevitabili".

Il "Grande Orizzontale" (1960) e "Positano" (I960) sono tra le prime tele bianche, in cui vivono sagome geometriche bianche, che piano piano si libereranno dai confini della riquadratura.

Il bianco diventa assoluto, il "non oggettivo", tele e installazioni in cui si abbatte ogni separazione tra artista e spettatore.

L'opera avvolge lo spettatore in uno spazio bianco ed infinito, lo conduce in silenzio alla "piena libertà di comunicare osservare pensare ed essere stimolato alla meditazione che porta alla quiete dell'anima", opere che divengono "camere di meditazione".

La scelta del bianco non è una scelta di progressiva spoliazione del reale da elementi contingenti, una scelta minimalista, ma è la ricerca di strutture artistiche dialogiche immaginative ed emotive.

Nelle due piccole "Composition" (New York 1960) il bianco è solo apparentemente una continuità, infatti si incontrano forme geometriche bianche che si intersecano nello spazio bianco del supporto.

L'assoluto bianco si compone di ovali, rettangoli, forme geometriche elementari dai contorni nitidi ma non omogenei, posti in risalto a far bene vedere la materia che li costituisce, a meglio lasciare intendere la loro presenza bianca su fondo bianco ed infine, una volta incontrati dalla luce, capaci di creare ombre e bagliori in una nuova dinamica strutturale.

Le opere sperimentano un nuovo concetto di spazio che supera quello omogeneo, unitario e limpidamente coerente consegnato all'arte moderna dalla prospettiva rinascimentale, per concepire uno spazio assoluto, infinito e luminoso in cui forme di un nuovo alfabeto fluttuano.

Il risultato è un atto di armonica nitidezza in cui, come osserva Nello Ponente (giugno 1961, catalogo galleria il Naviglio di Milano) "il desiderio di purificazione non abolisce la poesia del percorso inconscio".

La grande opera bianca "senza titolo"(s.d.) e "Alle quattro ragazze negre di Alabama" (1964), presenti in catalogo, propongono un immagine molto cara a Savelli supporti bianchi solcati da corde marinare bianche, ricordo della sua infanzia e del suo paese natio, corde oblique e curvate che nel loro movimento coinvolgono lo spazio interno e quello esterno, uno spazio ancora troppo legato alle azioni, al movimento inferto dall'oggetto.

In "Of space's quantity" (1973) il colore si raggruma, la stessa materia bianca crea sulla tela piccoli ingorghi, risentimenti di pittura che in maniera inequivocabile indicano allo spettatore che ciò che Savelli pone di fronte ai loro occhi è uno spazio "altro", infinito, che in modo analogo se pur formalmente diverso, si ricollega agli squarci sulla tela di Fontana. Fontana tagliava le tele mettendo in contatto lo spazio del quadro con lo spazio che circonda il quadro, nell'opera di Savelli è la stessa materia del quadro, il colore, che invade il supporto increspandosi ai bordi, creando rigagnoli di densa materia, che invadono lo spazio e l'anima, a riguardo oltre il già citato "Of space's quantity" -"Geometrie caprice" (1981), "Going" (s.d)., "Majestic" (1982), "To Socrates skeenaction" (1990).

Lorenza Trucchi, a proposito della monografia curata da Giuseppe Appella, ha ben definito le ragioni di questo percorso: "la sua geometria non è arida, è piuttosto, come voleva Malevic la geometria del sentimento".

Un sentimento quello di Angelo Savelli non esente dall'ironia, con "idom"(s.d.) ricorda uno dei grandi dell'arte italiana, Modigliani, ma con gusto leggero intitola la stampa a rilievo "idom", ovvero l'inverso di Modi.

Savelli riprende e porta avanti la ricerca di Malevic delle sue opere "bianco su bianco", della sua ricerca della non oggettività dei primi anni del '900, fino a creare la poesia del bianco, che definitivamente lo consegnerà alla storia dell'arte come poeta del non-colore, come colui capace di riportare nell'opera d'arte l'ancestrale desiderio dell'uomo di "sollevarsi" dal contingente per legarsi all'infinito.

Scrisse nell'estate del 1994 durante una delle sue ultime visite nella nostra città, a riguardo del dipingere e per noi perfetta chiosa "... per me è un bisogno di superarsi ... un bisogno di evadere dal comune, un bisogno di guardare la natura con occhi introspettivi ... mostrando come si può guardare dominando l'oggetto e non essere dominati dal soggetto stesso."

 

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NOTA: Il 21 settembre 2006 il sito www.pizzocalabro.it ha superato  il traguardo storico di un milione di pagine visitate dai web nautici di tutto il mondo.  Un grande traguardo per un grande paese.  Pochi in Calabria possono vantare un tale risultato.       

 Giuseppe Pagnotta

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